L’Audiopsicofonologia per gli anziani e nella relazione d’aiuto

L’Audiopsicofonologia per gli anziani e nella relazione d’aiuto


Nel silenzio,

nello spazio che lasciamo libero,

l’ascolto può ergersi,

come un ponte fra l’altro e noi,

fra la terra e il cielo.

Alfred Tomatis, medico otorinolaringoiatra vissuto lo scorso secolo (1920-2001), ha trascorso tutta la propria vita di ricerca e sperimentazione nel tentativo di comprendere le radici e le fronde più distanti e improbabili dell’ascolto. Le sue scoperte trovano oggi sempre più conferme da parte dei gruppi di ricerca più prestigiosi.

È bene accordare subito i termini: “sentire” è l’atto passivo di ricezione dei suoni, “ascoltare” è sintonizzarsi sul messaggio sonoro, presuppone il desiderio di mettersi in relazione, la volontà di comunicare. Molti adolescenti hanno un udito perfetto ma l’ascolto completamente chiuso, viceversa diversi saggi possono avere un udito fallace, ma essere capaci di un ascolto profondo.

Il desiderio di ascolto

Il desiderio di ascolto nasce dal ventre materno, quando sin dalla ventesima settimana di vita intrauterina, e, per certi aspetti, anche prima, il nostro orecchio è già formato nella sua parte vestibolare, che governa l’equilibrio e il tono muscolare, e in quella cocleare che governa la decodifica dei suoni; quello che ascolta sin dai primi istanti, influenza il successivo sviluppo cerebrale.

Un eminente neuroscienziato statunitense, Joseph LeDoux (direttore del ‘’Center for the Neuroscience of Fear and Anxiety’’ di New York), ha compiuto una serie di studi che hanno inequivocabilmente dimostrato che il messaggio sonoro viene maneggiato a livello della parte del cervello correlata alle risposte istintive ed emotive e, solo successivamente, arriva a livello della corteccia uditiva primaria dove gli viene assegnato il significato cosciente e, nel caso del linguaggio, semantico.

Perciò all’arrivo di qualunque suono, immediatamente ed automaticamente vengono messe in atto una serie di risposte ormonali, neurotrasmettitoriali, muscolari ed emotive, mentre solo con un certo ritardo gli viene attribuito il significato che lo rende consapevole.

Queste risposte automatiche sono in parte geneticamente determinate, in parte acquisite soprattutto durante la gravidanza e fino ai primi tre anni di vita, in modo prevalente, e poi ancora sino ai sei anni quando si completa lo sviluppo delle connessioni fra l’emisfero cerebrale destro e quello sinistro.

In quel periodo le nostre capacità critiche sono assai scarse, il nostro elettroencefalogramma è per la maggior parte del tempo quello dell’immaginazione, del sogno ad occhi aperti (onde theta). Osserviamo, imitiamo, impariamo, ingurgitiamo un volume impressionante di informazioni, schemi motori e posturali, comportamenti, proprio in virtù della scarsissima capacità analitica e critica, che invece è appannaggio delle cortecce cerebrali associative e del ritmo alfa dell’EEG che prenderanno forma progressivamente durante la crescita.

Chiudendo il cerchio, noi ascoltiamo gli altri e noi stessi prevalentemente in virtù degli schemi appresi quando eravamo ben poco consapevoli. Attribuiamo valore di verità oggettiva a un messaggio sonoro – un’informazione – che inevitabilmente quando arriva alla nostra coscienza è viziata, modificata, da quegli automatismi, da quei significati emotivi che gli sono stati assegnati con le orecchie, gli occhi e il cuore di un bambino.

Ciò vale per i messaggi che provengono dall’esterno ma anche da quelli che portano le nostre istanze. Un esempio su tutti: la sensazione di fame o di sazietà. Quanta parte è dovuta alle necessità di nutrizione, quanta ai vissuti famigliari, relazionali, culturali, ecc … Meno intuitiva, ma altrettanto verificabile, è la correlazione fra la chiusura dell’ascolto e una scoliosi evolutiva.

Che le nostre esperienze, i nostri vissuti, facciano parte di noi e ci strutturino anche da un punto di vista neuro-fisiologico non vuole evocare lombrosiane memorie, ma palesare uno zaino che portiamo, che ci plasma e difende, ma del cui peso, ovvero del suo ingombro, spesso non teniamo conto.

La nostra disponibilità all’ascolto è determinata dal nostro cervello, il quale, a seconda dell’esito delle verifiche di pericolosità o meno del messaggio in arrivo, che sono informate da quegli apprendimenti precoci e acritici di cui accennavo prima, determina il livello di attenzione che ritiene opportuno esercitare. Per ogni cellula nervosa che dall’orecchio porta il segnale ricevuto al cervello, ce ne sono due che dal cervello scendon

o a determinare come e cosa l’orecchio è disposto a sentire. Inoltre, sempre a partenza dalla parte inconscia del cervello, viene ordinato il posizionamento dei muscoli dell’orecchio medio. Il muscolo stapedio è il più piccolo dei muscoli volontari del nostro corpo, appena 1 millimetro: contraendosi sposta la staffa lateralmente. Mentre il muscolo del martello agisce a livello del timpano regolandone la tensione: più la membrana è tesa, più tendo l’orecchio al suono; più è lasca, più mi proteggo dal suono. Così l’ascolto viene aperto, socchiuso o cronicamente serrato.

Ascolto e psicosomatica

Tutto questo però ha un prezzo, perché la chiusura dell’ascolto per difesa, provoca un aumento di scarica del decimo paio di nervi cranici, ossia il nervo vago. In altre parole, ogniqualvolta abbiamo la necessità di difenderci da un messaggio sonoro, viene attivata una scarica di attivazione sui visceri: il nervo vago è il principale effettore del sistema parasimpatico, ossia dell’innervazione di gola, laringe, faringe, bronchi, polmoni, cuore, stomaco, intestino, fegato e pancreas. Dalla sua attività dipendono, per esempio, la costrizione dei bronchi e la diminuzione della frequenza respiratoria; il rallentamento del battito cardiaco e della forza di contrazione del cuore; la stimolazione della secrezione e della motilità gastrica; l’aumento dei processi digestivi dell’intestino tenue e l’aumento della motilità e della secrezione dell’intestino crasso.

Perciò la chiusura dell’ascolto offre il fianco, o sarebbe più corretto dire “i visceri”, alla psicosomatica: bronchiti e laringiti ricorrenti, extrasistole, gastriti, coliti, per citare malanni con cui spesso si condivide la quotidianità.

Le dinamiche che si realizzano sono ahimè comuni: una situazione famigliare o lavorativa stressante; la malattia di un genitore anziano che determina un cambiamento di vita e di prospettive. Si fa fronte alle necessità, perché così la nostra cultura e la nostra educazione ci hanno insegnato, ma contemporaneamente si chiude l’ascolto delle proprie istanze, delle proprie aspirazioni ovvero delle legittime frustrazioni. Emergono senso del dovere e senso di colpa così ben radicati nel nostro mondo occidentale ed iniziano ad apparire sintomi: inizialmente solo funzionali, poi anche organici.

L’ascolto nella relazione d’aiuto

Nelle relazioni d’aiuto: medico-paziente, ma anche fra gli operatori sociali ed assistenziali ad ogni livello, l’ascolto deve essere centrale e deve tenere conto che, pur ascoltando al meglio delle nostre possibilità, si tratta sempre di un ascolto raramente puro, a meno di aver raggiunto la “buddhità”.

Consapevoli delle pre-impostazioni d’ascolto che ci portiamo dietro sin dall’infanzia, per mettersi in ascolto si rivela fondamentale il movente, nel senso dell’origine del movimento verso l’altro: il desiderio di entrare in comunicazione, senza il quale, anche l’udito perfetto, l’orecchio assoluto, si rivela una fuoriserie senza pilota. L’ideale sarebbe ascoltare noi stessi con disincanto – non “cantandocela” –, accoglierci amorevolmente per ciò che siamo, senza giudizio, e su queste fondamenta assumere la (dis)posizione d’ascolto.

Alfred Tomatis, nella disciplina da lui fondata: l’Audiopsicofonologia, invita a considerare l’orecchio come un organo deputato all’analisi del movimento: quello grossolano, di pertinenza del vestibolo che è connesso a tutti i muscoli; e quello fine, di pertinenza della coclea che analizza i suoni. Giacomo Rizzolatti e il suo gruppo di ricerca dell’Università di Parma, con la scoperta dei neuroni specchio nelle scimmie ed i successivi lavori sull’uomo, hanno aggiunto un tassello fondamentale alla complessità “dell’ascolto”: in effetti nel nostro cervello vengono prefigurati i movimenti dei nostri interlocutori e le loro intenzioni istantaneamente alla vista dell’inizio della loro esecuzione. Ascoltiamo corpo e parola in modo “embodied” (malamente traducibile come “incarnato”).

Filosofi, psicologi ed oratori di ogni epoca hanno dissertato sull’ascolto come parte della comunicazione. Alfred Tomatis vi ha aggiunto la componente epigenetica, quella pedagogica (eredo-famigliare e culturale), oltre che psicosomatica e somatopsichica.

L’Audiopsicofonologia in pratica

Nei suoi studi ha trovato il sistema per sgravare l’ascolto dai vizi acquisiti e liberarlo dai condizionamenti che ci imprigionano semplicemente allenandolo: facendogli fare ginnastica! Utilizzando la musica di Mozart ed i canti gregoriani come supporto, che vengono fatti ascoltare dopo essere passati attraverso un apparecchio chiamato “Orecchio Elettronico” che modifica la musica in modo tale che il nostro orecchio sia costretto a muovere i muscoli dell’orecchio medio. Si tratta di una vera e propria ginnastica di ascolto. Mentre i muscoli ritrovano il tono muscolare corretto: ne troppo lasco, ne troppo teso, il suono viene indirizzato per conduzione ossea, attraverso uno stimolatore posto sull’archetto della cuffia, in anticipo rispetto a quello inviato per conduzione aerea agli auricolari. Questo stratagemma permette di rivalutare e, se del caso, eliminare le vecchie impostazioni d’ascolto, frutto dei condizionamenti iscritti nei nostri schemi cerebrali sin dalla vita intrauterina.

http://www.lacasainordine.it/2017/09/facciamo-ordine/

Si può pensare ad una sorta di messa in ordine di un solaio o di una vecchia cantina. Per anni si sapeva che era un lavoro da fare, ma non si trovava mai il tempo né le forze fisiche ed emotive per affrontare quell’impresa epica. Si tratta di vagliare ogni cosa riposta e talvolta dimenticata, avere il coraggio di buttare ciò che non serve, recuperare un vecchio vaso che è tornato di moda, liberarsi gli scarponi da sci che non si usano più da parecchi anni, ma anche ritrovarsi fra le mani un ricordo prezioso, ancorché doloroso. Sfogliare le pagine di un libro di fantasmi di quando eravamo piccoli e sorridere col cuore gonfio di emozione rammentando le notti in cui era difficile prendere sonno temendo l’arrivo degli abitanti del buio.

L’Audiopsicofonologia permette di fare tutto questo in modo passivo, senza che i ricordi debbano riaffiorare, senza forzare un cambiamento che struttura una personalità, ma offrendo la forza e lo strumento per liberarci da condizionamenti non solo non più utili, ma potenzialmente dannosi.

Un ultimo aspetto non meno importante della centralità dell’orecchio nel nostro equilibrio psico-emotivo, è legato al fatto che la stimolazione che esso raccoglie sotto forma di movimento e di ascolto, fornisce al nostro cervello l’energia psichica per funzionare. Questo aspetto vale per tutta la sensibilità che viene raccolta dai nostri recettori, più o meno sofisticati, e condotta alla materia grigia cerebrale sotto forma di differenza di potenziale, ovvero una vera e propria corrente elettrica che viene utilizzata per far funzionare quell’intricato groviglio di cavi e relais a cui può essere paragonato il nostro cervello. Ebbene, l’orecchio fornisce il 60% di quell’energia. Perciò un ascolto chiuso, difeso, stanco, darà luogo ad una maggiore stanchezza, alla difficoltà a rimanere concentrati, a prestare attenzione, ad avere l’iniziativa per intraprendere una qualsivoglia attività. Lo sguardo verso il domani si abbassa e ricade su se stessi.

La Scienza ha chiamato questi aspetti CAPD – Disordini dell’elaborazione uditiva centrale – che si manifestano come, ad esempio: difficoltà nell’utilizzo del linguaggio e nell’articolazione di ciò che una persona desidera dire; difficoltà nel seguire o ricordare istruzioni; lentezza nell’elaborazione di un linguaggio intellegibile; difficoltà nel leggere ad voce alta; carente risposta al linguaggio umano, mentre permane normale quella ai suoni ambientali; inversione di lettere e parole; difficoltà nel pronunciare parole; difficoltà ritmiche; tanto per citare le più comuni.

Proviamo a osservare una persona anziana mentre leggiamo l’elenco sopra riportato e possiamo immediatamente comprendere quanto il recupero di un ascolto più aperto possa restituire possibilità di relazione ed energia psichica.

Nella società multimediale, multitasking, alla continua richiesta di performance in cui stiamo affogando, molte deflessioni del tono dell’umore, disturbi del sonno, irritabilità sono semplicemente ascrivibili a disturbi dell’ascolto. L’Orecchio Elettronico di Alfred Tomatis consente di recuperare equilibrio psico-emotivo e fisico, energia e lucidità in modo semplice e non farmacologico.

Articolo scritto per il Blog Per Lunga Vita – di Lidia Goldoni – nel maggio 2014

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