“Il piacere dell’amicizia” di Emilio Del Giudice

Il piacere dell’amicizia

“Si attribuisce a Goethe l’affermazione che il valore di un essere umano si misuri dal valore dei suoi amici. In tempi molto più antichi la medicina tibetana affermava che l’amicizia è il migliore farmaco a disposizione dell’umanità. Al contrario la mancanza di amici è fonte di tristezza per lo sfortunato essere umano affetto da questa disgrazia. Nell’antichità classica si auspicava una morte bella in cui il morente affrontasse l’allontanamento da questo mondo circondato dai suoi amici, come fece Socrate prima di bere la cicuta.

Avendo ormai 73 anni e restandomi quindi una ventina d’anni ancora da vivere, mi piace pensare a come organizzare la mia partenza per i “verdi pascoli”. La fantasia mi suggerisce di organizzare un ricevimento serale a cui invitare le 20 o 30 persone ancora viventi che abbiano avuto per me un particolare significato e discorrere con loro delle cose che abbiamo avuto in comune, intervallando i discorsi con tocchetti di parmigiano e bevute di vino rosso. In tal modo i nostri esseri entrano  in sintonia, pulsano  insieme e quindi sentono in risonanza.

Risonanza, ecco la parola magica che può definire l’amicizia. Ma cosa vuol dire risonanza? L’accezione intuitiva di questa parola è avere un movimento spontaneo del proprio essere, una pulsazione vitale che abbia lo stesso ritmo di quella dell’altro, come in una danza. Noi ci aspettiamo che se i corpi, le psiche e i cervelli  si muovono all’unisono, anche le emozioni, i sentimenti, le passioni, le idee saranno coinvolte in una danza comune in cui ognuno sentirà il piacere di non essere limitato nel proprio corpo ma di vederlo allargato fino a comprendere una parte importante dell’altro da noi.

Questo moto di espressione, come accade nell’esperienza estrema dell’orgasmo, ci dà piacere.

Essendo un fisico coinvolto nello studio degli organismi viventi, sono spinto dalla mia deformazione professionale a trovare un modello fisico per le mie affermazioni. La visione della materia vivente, fondata sulla fisica quantistica, alla quale aderisco, può essere così riassunta.

In fisica quantistica, ogni oggetto fisico, sia esso un corpo materiale o un campo di forze, fluttua in modo spontaneo. Queste fluttuazioni si accoppiano con campi, denominati nel gergo dei fisici “campi di gauge”, che le trasformano in fluttuazioni proprie e le diffondono nell’ambiente. Sotto particolari condizioni studiate dalla teoria queste fluttuazioni possono sintonizzarsi tra di loro, diventare coerenti e dar luogo ad una oscillazione collettiva all’unisono di un vasto insieme di componenti che acquista quindi una sua unità, ma anche un significato fornito dall’oscillazione vista in se stessa come una musica.

L’organismo vivente è una forma alta e complessa di questa proprietà di coerenza, che richiede per il proprio buon funzionamento che la musica non sia un rumore caotico ma abbia un ritmo, ovvero una “fase” nel gergo dei fisici, ben definita. Esiste in fisica quantistica un teorema che afferma la sussistenza di un principio di indeterminazione nelle oscillazioni collettive, cioè il prodotto della incertezza (larghezza dell’intervallo dei valori possibili) del numero di oscillatori per l’incertezza della fase non può essere minore di una costante universale. Quindi, poiché nell’organismo vivente, come in ogni sistema coerente, l’incertezza della fase deve essere la più piccola possibile, ne consegue che l’incertezza del numero di oscillatori deve essere la più grande possibile. Ma in un organismo individuale isolato l’incertezza del numero di oscillatori non può essere grande perché questo numero in un corpo dato è ben definito e coincide con il numero di molecole componenti. Per rendere incerto il numero di oscillatori partecipanti alla danza collettiva, l’organismo DEVE necessariamente aprirsi all’esterno e uscire dal proprio isolamento, restando nel quale la fase dell’oscillazione diventerebbe incerta gettando nel caos la sua dinamica interna. Una dinamica interna ben regolata è perciò possibile sotto la condizione inderogabile che l’organismo risuoni con l’esterno, con altri organismi, con parti vaste della natura. Ricordo che Schelling definiva l’esperienza artistica come la risonanza di un soggetto con un oggetto. La vita acquista in questa visione una fondamentale natura estetica, per esistere deve essere bella. Se non sono bello per un numero abbastanza elevato di altri esseri non posso restare in vita come un essere in buona salute. Ecco perché l’egoista isolato è profondamente malato, nel senso proprio del termine. La fisica quantistica moderna fornisce perciò un modello oggettivo per comprendere ciò che l’umanità ha avuto chiaro fin dai primordi e che la “civiltà” moderna fondata sulla competizione, sulla volontà di sopraffazione di ognuno su tutti gli altri, sullo sforzo incessante di veder riconosciuto il proprio “merito” cerca di sopprimere. La vita si fonda sulla coerenza, sulla risonanza dei diversi, sul desiderio di ognuno di risuonare con il maggior numero possibile di altri. La “civiltà” moderna, nella misura in cui cerca di trasformare l’amore in possesso, è civiltà di morte. Come usavano dire i sacerdoti: “Dixi et salvavi animam meam”. Emilio Del Giudice

Una cara amica e collega che conosceva il prof. Emilio del Giudice personalmente, mi ha regalato questo suo scritto sull’amicizia. Le poetiche immagini che evoca sono un tesoro prezioso che fa vibrare “nel profondo le nostre particelle”.        

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