Trattamenti neuromodultatori per il dolore cronico: efficacia e meccanismi

La review di Jensen pone l’accento sulla non completa efficacia del solo trattamento farmacologico nel trattamento del dolore cronico e vaglia l’efficacia di tecniche che, in modo non invasivo, si propongono di modificare la risposta cerebrale al dolore.

La mia esperienza clinica quotidiana di lavoro col metodo Tomatis mi ha portato a ipotizzare un analogo effetto neuromodulatorio sulla base del ruolo delle reti nervose sottese alla sua modalità di intervento. L’effetto decondizionante che viene perseguito sotto ascolto è proprio quello di dissociare l’informazione in ingresso – per esempio quella dolorosa – rispetto alla sua rappresentazione emotiva e rispetto all’ansia anticipatoria che invariabilmente viene a crearsi in chi quotidianamente, per mesi e mesi, prova dolore. Inoltre si interviene direttamente a livello muscolare allentando la contrattura antalgica reattiva grazie alla stimolazione dei fasci vestibolo-spinali. Infine, personalmente, utilizzo uno stimolatore osseo periferico per agire anche localmente amplificando gli effetti di riduzione del dolore.

Ma vediamo cosa dicono i ricercatori del  gruppo di lavoro del dr. Mark Jensen del Dipartimento di Medicina Riabilitativa dell’Università di Washington. La review prende in considerazione il trattamento del dolore cronico con sistemi che ne modificano la rappresentazione cerebrale. Il dolore cronico viene stimato avere nella popolazione una prevalenza dell’ordine del 20-40%: un grande numero di persone ne sono colpite con ricadute negative sia sulla qualità della vita sia sui costi della sanità.
Generalmente il dolore cronico viene trattato  con varie classi di farmaci, ma la maggior parte dei pazienti che ne soffrono riferiscono la non completa risoluzione del problema col mero impiego delle medicine. Una meta analisi sull’efficacia degli oppiacei – considerati da molti la più potente classe di analgesici disponibili – nel trattamento del dolore cronico ha concluso che essi forniscono soltanto un lieve miglioramento nell’intensità del dolore rispetto al placebo.
L’aspetto più significativo per considerare gli approcci neuromodulatori come trattamento del dolore cronico è la comprensione via via crescente del fatto che il dolore sia l’esito di processi corticali sopraspinali. Ovvero che l’esperienza del dolore è il risultato di come il cervello maneggia gli input sensoriali, piuttosto che una diretta conseguenza degli stimoli sensoriali in sè. Perciò qualunque intervento che agisca sull’attività cerebrale correlata al dolore ha la potenzialità di influenzarlo.
Fra le metodiche che intervengono modificando l’attività cerebrale considerate un questa review troviamo l’ipnosi; le meditazioni, fra cui viene considerata la ‘mindfulness’; il neurofeedback in cui sono ricompresi sia il fMRI che l’EEG biofeedback; nonchè le procedure di stimolazione elettrica corticale: la stimolazione elettrica diretta transcraniale (tDCS) e la stimolazione magnetica trancraniale ripetitiva (rTMS).
Gli Autori riassumono lo stato dell’arte in relazione all’efficacia ed ai meccanismi sottesi alle sopracitate tecniche neuromodulatorie nel trattamento del dolore cronico.

Analgesia ipnotica.
L’ipnosi viene definita come “un’interazione sociale in cui una persona, definita soggetto, risponde a suggestioni proposte da un’altra persona, definita ipnotista, per vivere un’esperienza che implica alterazione nella percezione, nella memoria e nell’azione volontaria”. L’analisi della letteratura pubblicata riguardo l’impiego di questa metodica riporta una riduzione dell’intensità del dolore, ma anche una serie di effetti benefici associati, facendola spiccare rispetto al placebo. Sono stati considerati studi su traumatizzati spinali; su pazienti affetti da sclerosi multipla e in casi di sindrome dell’arto fantasma. Le analisi suggeriscono che vi sia una risposta migliore in caso si stratti di dolore neuropatico.
Rispetto al meccanismo d’azione, in primo luogo l’ipnosi agisce virtualmente su tutti i processi neurofisiologici che sottostanno all’esperienza del dolore, da quelli periferici, a quelli spino-talamici e a livello di numerose aree corticali. In secondo luogo, gli effetti della suggestione ipnotica dipendono fortemente dalle parole utilizzate. Infine, l’efficacia delle suggestioni analgesiche è maggiore se sono precedute da induzione ipnotica.
L’analgesia ipnotica è stata dimostrata influenzare i riflessi spinali. Studi iconografici anno mostrato che essa riduce l’attività virtualmente in tutte le aree sovraspinali che sono state identificate come parte della “matrice del dolore” comprese il talamo, le cortecce sensoriali, l’insula, la corteccia cingolata anteriore (ACC) e i sistemi di controllo attentivo frontali.
Infine, hanno dimostrato un influenza sull’EEG che si traduce in una maggiore capacità di concentrazione, una riduzione dell’ansia e dell’attività del sistema nervoso vegetativo, oltre ad un aumento della memoria.

Meditazione.
Ha profonde radici storiche e religiose. Ne esistono diverse forme. Nel loro lavoro gli Autori considerano essenzialmente la meditazione mindfulness e le pratiche di concentrazione.
Jon Kabat-Zinn, il fondatore degli approcci basati sulla mindfulness la definisce come “la consapevolezza che emerge prestando attenzione all’obiettivo, nel momento presente, e, senza giudizio, al dischiudersi dell’esperienza, momento per momento”. Shapiro e Carlson definiscono operativamente la mindfulness sia come risultato (consapevolezza mindful), sia come processo (la pratica mindful). Si tratta di un programma di meditazione strutturato generalmente in 8 settimane.
Applicata al dolore cronico, ottiene benefici rispetto alla disabilità, all’accettazione del dolore e alla drammatizzazione del dolore, sia a breve, sia a lungo termine.
Il meccanismo sotteso ipotizzato è l’intevento su strutture corticali coinvolte nell’attenzione e nella risposta emozionale insieme all’incremento della consapevolezza e dell’accettazione.
Sono stati condotti studi su soggetti sani che hanno dimostrato come la meditazione mindfulness sia associata ad un aumento dell’attività dell’insula bilateralmente, della ACC rostrale, e della corteccia prefrontale dorsomediale (PFC). Viene suggerito come meccanismo soggiacente un disaccoppiamento fra i network cognitivi-valutativi e quelli sensoriali-discriminativi insieme ad un silenziamento dei processi anticipatori associati al dolore. Inoltre, in meditatori esperti è stato osservato un aumento della materia grigia e dello spessore corticale a livello ippocampale, dell’insula anteriore e posteriore, della corteccia cingolata mediale (MCC), della corteccia parietale e della PFC.
Di particolare interesse è il riscontro che la corteccia cingolata mediale è coinvolta nell’inibizione del dolore e che la riduzione del volume della materia grigia in questa regione è un riscontro frequente in persone che soffrono di dolore cronico.
Rispetto all’EEG, l’effetto della meditazione mindfulness sull’attività alfa è associato ad una riduzione dell’ansia, al sentirsi calmi e ad un effetto positivo. Un riscontro altrettanto comune è l’aumento dell’attività theta durante le pratiche meditative.
Concludendo, le evidenze sono consistenti con un’azione della mindfulness sulla modulazione del dolore indotto sperimentalmente attraverso l’aumento dei sistemi di controllo attentivi frontali e una riduzione delle risposte emotive e di quantificazione del dolore, oltre che dell’arousal.

Stimolazione cerebrale non invasiva.
Si tratta di tecniche di stimolazione cerebrale attraverso l’applicazione di corrente o di campi magnetici.
La loro azione sembra esplicarsi a livello della corteccia motrice la cui attività si pensa essere in grado di limitare l’elaborazione di segnali nocicettivi, inviando segnali inibitori GABAergigi direttamente al talamo, riducendo in questo modo l’intensità del dolore percepito.

Neurofeedback.
Lo scopo del trattamento che impiega l’EEG e stimolazioni visive e uditive, è quello di diminuire l’attività cerebrale che si pensa essere associata all’elaborazione delle informazioni nocicettive e di aumentare l’attività che si ipotzza essere associata alla riduzione dell’elaborazione delle informazioni dolorose e all’aumento del rilassamento.
Non sono stati trovati in letteratura studi clinici su larga scala che valutino l’efficacia del neurofeedback sul dolore cronico.
Rispetto al meccanismo d’azione, il primo postulato è che l’oscillazione elettrica cerebrale in alcune bande di ampiezza rifletta i processi neurofisiologici di elaborazione che sottostanno all’esperienza del dolore. La seconda assunzione è che il training sia in grado di alterare l’ampiezza di queste oscillazioni correlate al dolore spostandole verso l’esperienza del benessere.
Individui sofferenti di dolore cronico hanno dimostrato avere un aumento di ampiezza di tutte le bande EEG, un’attività beta relativamente maggiore ed un’attività alfa relativamente minore paragonate alle persone sane. Altri Autori segnalano che studi su pazienti affetti da dolore cronico mostrano un’attività theta particolarmente lenta (assoluta e relativa) rispetto ai controllo. La conclusione che ipotizzano è che a sostenere il dolore cronico vi sia una disritmia talamocorticale.
Le conclusioni della review depongono per l’utilizzo dell’auto-ipnosi nel trattamento del dolore cronico, mentre sono necessari studi più approfonditi per acclarare l’efficacia o meno delle altre tecniche neuromodulatorie considerate.

Neuromodulatory treatments for chronic pain: efficacy and mechanisms.
Mark P. Jensen, Melissa A. Day and Jordi Miró.  Nat. Rev. Neurol. 10, 167–178 (2014).

Abstract. Chronic pain is common, and the available treatments do not provide adequate relief for most patients. Neuromodulatory interventions that modify brain processes underlying the experience of pain have the potential to provide substantial relief for some of these patients. The purpose of this Review is to summarize the state of knowledge regarding the efficacy and mechanisms of noninvasive neuromodulatory treatments for chronic pain. The findings provide support for the efficacy and positive side-effect profile of hypnosis, and limited evidence for the potential efficacy of meditation training, noninvasive electrical stimulation procedures, and neurofeedback procedures. Mechanisms research indicates that hypnosis influences multiple neurophysiological processes involved in the experience of pain. Evidence also indicates that mindfulness meditation has both immediate and long-term effects on cortical structures and activity involved in attention, emotional responding and pain. Less is known about the mechanisms of other neuromodulatory treatments. On the basis of the data discussed in this Review, training in the use of self-hypnosis might be considered a viable ‘first-line’ approach to treat chronic pain. More-definitive research regarding the benefits and costs of meditation training, noninvasive brain stimulation and neurofeedback is needed before these treatments can be recommended for the treatment of chronic pain.

Riassunto. Il dolore cronico è assai comune, i trattamenti disponibili non offrono un sollievo adeguato per la maggior parte dei pazienti. Gli interventi neuromodulatori che modificano i processi cerebrali che sottostanno all’esperienza del dolore hanno il potenziale di offrire un consistente aiuto per alcuni di questi pazienti. Lo scopo di questa review è quello di sintetizzare lo stato dell’arte in relazione all’efficacia ed ai meccanismi d’azione dei trattamenti neuromodulatori, non invasivi, del dolore cronico. I risultati forniscono sostegno all’efficacia e ai positivi effetti collaterali dell’ipnosi, mentre forniscono evidenze limitate per la potenziale efficacia della meditazione, delle procedure di stimolazione elettrica non invasive e per il neurofeedback.
La ricerca sui meccanismi indica che l’ipnosi influenza molti processi neurofisiologici coinvolti nell’esperienza del dolore. Evidenze indicano altresì che la meditazione mindfulness ha effetti sia immediati sia a lungo termine sulla struttura e sull’attività delle cortecce implicate nell’attenzione, nelle risposte emotive e nel dolore. Meno notizie sono disponibili rispetto al meccanismo degli altri trattamenti neuromodultaori. Sulla base dei dati discussi in questa review, il training attraverso l’auto-ipnosi può essere considerato un approccio di prima linea funzionale nel trattamento del dolore cronico. Sono necessarie ricerche più conclusive in relazione ai benefici ed ai costi della meditazione, della stimolazione cerebrale non invasiva e del neurofeedback prima che questi trattamenti vengano consigliati per il trattamento del dolore cronico.

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